Quando ci facciamo male, per esempio prendiamo una botta o ci sloghiamo una caviglia solo per fare degli esempi, il nostro corpo, lì dove è stato colpito manda dei segnali al cervello e il cervello di conseguenza si attiva per mandare grandi rinforzi per riparare le strutture lese. Senza addentrarci in tutti i meccanismi che ne derivano, nel tessuto corporeo in questione arriva molto più sangue, molte più cellule e di conseguenza si accumula molta più linfa. Pian piano con il recupero e con un’attivazione speciale anche del sistema linfatico la linfa viene via via riassorbita e il gonfiore se ne va. Ecco, questo gonfiore non era patologico e il sistema linfatico ha funzionato correttamente.
Ci sono vari casi in cui, per svariate cause anche sconosciute, nel corpo si crea un accumulo di linfa e questo accumulo non se ne va né con il tempo né con semplici manovre di self-care (come per esempio sollevare le gambe, curare meglio l’alimentazione e/o praticare sport). Questo è ciò che definiamo gonfiore patologico e che dà origine al linfedema o quadri simili o misti come il lipedema o il linfolipedema.
Il sistema linfatico non funziona in maniera adeguata, la linfa non viene eliminata dai tessuti ed, in questi, si accumula determinando la formazione di un edema che ha la caratteristica, rispetto ad altri tipi di edema, di possedere un elevato contenuto proteico: così si forma il linfedema.
Il linfedema è compatibile con un normale e attivo stile di vita. Questo significa che nonostante un corretto e sano stile di vita (alimentazione, movimento fisico, un sano approccio comportamentale) contribuiscano ad avere delle condizioni generali migliori di buona salute per l’organismo, il linfedema può non dipendere completamente da questi fattori, ma esserne indipendente.
Questa condizione patologica causa una sensazione di pesantezza, deformazione dell’arto, lievi fastidi, ripetuti episodi di infezione e, in rari casi, lacerazioni spontanee della pelle fino ad arrivare nei casi più gravi a vere e proprie ulcere. I casi più gravi se non trattati sono associati a ispessimento della cute, indurimento dell’arto, fuoriuscita della linfa e massiccia tumefazione delle parti interessate, fino ad ulcerazione della cute, anche spontanea.
La caratteristica principale del linfedema è infatti quella di essere una patologia evolutiva, ossia di peggiorare spontaneamente e progressivamente nel tempo. La sua evoluzione comporta: un aumento del volume dell’arto e cambiamenti delle caratteristiche tissutali. Il liquido ricco di sostanze proteiche che ristagna nei tessuti si addensa sempre di più fino a diventare una fibrosi.
L’arto a poco a poco si trasforma quindi da un arto gonfio (edematoso), perché ricco di liquidi ad un arto grosso (fibrotico) per la presenza di cellule che si addensano, sovrappongono ed induriscono i tessuti. Questa fase è purtroppo irreversibile ed il linfedema diviene così cronico. Per questo è importante non sottovalutare il problema quando sembra “normale” e rivolgersi precocemente al personale esperto per essere guidati nel modo corretto nel piano di cura.
COS’E’ LA LINFA?
è un liquido presente nel nostro corpo che scorre attraverso il sistema linfatico, un altro sistema che ci appartiene oltre a quello che più di tutti conosciamo, ossia quello sanguigno. Le arterie portano il sangue dal cuore ai vari tessuti del corpo; qui le cellule dei tessuti prelevano ciò che serve loro per nutrirsi e per svolgere il loro lavoro nel nostro corpo e poi rilasciano gli “scarti” del loro metabolismo nel fluido interstiziale (nello spazio attorno alle cellule dove appunto avvengono tutti gli scambi nutritivi tra cellule, sistema sanguigno e sistema linfatico). Quindi le vene e i collettori linfatici portano rispettivamente il sangue e la linfa dai tessuti al cuore.
La linfa differisce dal sangue in quanto contiene meno proteine e non contiene globuli rossi. Il ruolo del sistema linfatico è quello di rimuovere l’eccesso di fluido interstiziale, i batteri, i virus e i prodotti del metabolismo dal tessuto tra le cellule. Gran parte del liquido ritorna al cuore tramite le vene. Il resto, circa 2 litri al giorno, è trasportato verso il sistema venoso dai vasi linfatici.
COME SI SPOSTA LA LINFA?
Grazie al sistema linfatico ossia un susseguirsi di vasi linfatici (chiamati collettori) e di linfonodi; i collettori dalla periferia si diramano e diventano sempre più grandi portando il liquido verso il centro del nostro corpo, per essere liberato dalle sostanze nocive ed essere poi immesso nel sangue per riprendere il circolo. La linfa quindi passa attraverso i linfonodi regionali, piccoli centri dove viene filtrata, liberata dai batteri, dalle tossine e dalle cellule morte. Assieme al timo, alle tonsille e alla milza, i linfonodi producono linfociti, cellule importanti nel combattere infezioni e nell’incrementare le capacità immunologiche dell’organismo.
La linfa è un liquido abbastanza denso, proprio a causa delle molecole di cui è formato per cui il suo movimento è molto lento seppur indispensabile. Inoltre, non c’è un “cuore linfatico” che faccia lo stesso lavoro del cuore nel sistema sanguigno per cui il movimento della linfa è più lento e si sposta nei collettori linfatici grazie all’attività muscolare (i muscoli contraendosi “spremono i collettori spingendo in su la linfa), grazie alla contrazione dei collettori stessi (hanno dei piccolissimi cuori nelle loro pareti), al movimento del diaframma durante la respirazione e grazie alla pressione negativa all’interno del torace durante il ciclo respiratorio che crea come un “effetto risucchio”.
QUANTI TIPI DI LINFEDEMA CI SONO?
Il linfedema deve essere distinto da edemi di altra origine come, ad esempio, quelli secondari a traumi, interventi chirurgici, malattie epatiche o renali, malattie venose, uso di farmaci, che sono costituiti da un accumulo di liquidi povero in proteine e la cui evoluzione e terapia è molto diversa da quelle del linfedema.
Il linfedema può essere di due tipi:
- Primario: compare quando è presente un’alterazione costituzionale del sistema linfatico (es. vasi linfatici e/o linfonodi piccoli e/o ridotti di numero). E’ stato recentemente inserito tra le patologie rare riconosciute dal Servizio Sanitario Nazionale e può essere su base familiare. (Mancano dati precisi sulla prevalenza del linfedema primario nella popolazione generale ma la sua incidenza annua è stimata intorno a 1,5 casi su 100.000 soggetti di età inferiore ai 20 anni. Coinvolge più frequentemente ma, non esclusivamente, gli arti inferiori; è di maggior riscontro nel sesso femminile (rapporto femmine/maschi di 7/1), ad insorgenza precoce (prima dei 35 anni) e, più raramente, ad insorgenza tardiva (dopo i 35 anni). Molto rari sono i casi presenti dalla nascita o nei mesi successivi e hanno connotazione di forme familiari (Sindrome di Nonne-MiIlroy e di Meige)
- Secondario: compare quando si crea un danno diretto del sistema linfatico, ad esempio in conseguenza di traumi, infezioni, interventi chirurgici, terapie radianti. La forma secondaria più frequente è il linfedema oncologico, conseguente all’intervento di asportazione di linfonodi (linfadenectomia), resa necessaria per la cura di alcune forme neoplastiche.
Non tutti i soggetti sottoposti ad asportazione dei linfonodi sviluppano necessariamente la complicanza del linfedema: subito dopo la linfadenectomia si attivano immediatamente ed in maniera spontanea dei meccanismi di compenso fisiologici che deviano la linfa su vie linfatiche residue o alternative. Queste vie, aggirando la zona del trauma chirurgico, trasportano la linfa verso altre stazioni linfonodali garantendo così un sufficiente drenaggio linfatico della regione. La disponibilità di queste vie alternative non è uguale per tutte le persone: alcuni soggetti hanno vie ampie e numerose, altri meno. Dal rapporto tra entità del danno chirurgico (numero dei linfonodi asportati) e la condizione di predisposizione individuale dipende il fatto di sviluppare il linfedema nel tempo.
(Nonostante il miglioramento delle tecniche chirurgiche e radioterapiche, sempre meno invasive, l’incidenza del linfedema rimane tuttavia significativa: nelle persone operate per tumore al seno circa il 20% di coloro che hanno subito l’asportazione dei linfonodi ascellari possono presentare un linfedema clinicamente rilevante negli anni successivi. Tale incidenza è addirittura superiore, intorno al 40 %, delle persone sottoposte ad interventi di asportazione dei linfonodi inguinali, pelvici ed addominali come effettuato in caso di tumori in campo ginecologico e urinario.
E’ bene sottolineare che, se il linfedema oncologico più noto è quello dell’arto superiore, secondario agli interventi di linfadenectomia ascellare che accompagnano le cure chirurgiche per il tumore alla mammella, il linfedema oncologico può presentarsi anche come conseguenza di interventi per altre malattie neoplastiche che richiedono l’asportazione di linfonodi: ad esempio, nella donna per neoplasie ginecologiche (dell’utero o dell’ovaio), urinarie (della vescica), cutanee (i melanomi); nell’uomo per neoplasie genito-urinario (della vescica e della prostata) e cutanee (i melanomi))
Esistono poi altri quadri clinici che possono avere delle similitidini ma che sono da considerarsi non linfedemi né primari, né secondari ed interessano in modo più o meno rilevante, in concomitanza al sistema linfatico anche altri sistemi:
- Il sistema circolatorio, in particolare quello venoso (FLEBOLINFEDEMA)
- Il tessuto grasso (LIPEDEMA, LINFOLIPEDEMA)
COME SI DIAGNOSTICA IL LINFEDEMA?
La diagnosi di linfedema non è sempre facile. Le cause della comparsa di un edema ad un arto, oltre che alle alterazioni linfatiche, possono infatti essere molteplici: malattie venose (varici o trombosi venose), cardiache (scompenso cardiaco), renali (insufficienza renale o sindrome nefrosica), epatiche (insufficienza epatica), polmonari (broncopneumopatia cronica ostruttiva), gastroenteriche (gastroenteropatie), endocrine (tiroidee), alterazioni del metabolismo (ipoalbuminemia) ed altre ancora. Queste patologie determinano la comparsa di un edema che viene facilmente confuso con il linfedema. Alcune condizioni patologiche inoltre possono influenzare o ostacolare l’esecuzione di terapie specifiche per il linfedema (come arteriopatie periferiche, cardiopatie, ipertensione ecc.) e che devono quindi essere preventivamente escluse.
Poiché la terapia da attuare è strettamente legata alla causa dell’edema, è ovvio come sia assolutamente necessario porre una diagnosi precisa e verificare la presenza di condizioni che possono condizionare la prescrizione di alcuni trattamenti.
La diagnosi è prima di tutto clinica, ossia basata su segni e sintomi: lo specialista linfologo riconosce i segni clinici propri del linfedema o, al contrario, di altre malattie edemigene e, nei casi dubbi, prescrive le indagini di approfondimento necessarie.
Tra queste, le più importanti sono: l’eco-color Doppler venoso, la bioimpedenziometria segmentale, la linfoscintigrafia o la linfografia con verde indocianina ed alcuni esami laboratoristici.
POSSONO ESSERCI COMPLICANZE?
Le complicanze del linfedema sono legate soprattutto alla riduzione delle difese immunitarie dell’arto colpito, causata dal danno linfatico; i tessuti dell’arto sono più esposti al rischio di infezione in occasione anche di piccole ferite, ustioni o punture di insetto. Questo rischio è basso negli stadi iniziali ma aumenta molto (fino al 75% dei casi) negli stadi avanzati.
CI SONO DIFFERENTI LIVELLI DI GRAVITà?
Il linfedema clinico viene classificato in 3 stadi, in relazione alle caratteristiche cliniche che dipendono, come detto, direttamente dalla condizione evolutiva dei tessuti.
Stadio1: edema che compare solo alla sera ed in aree limitate ma che regredisce spontaneamente con il riposo notturno. Il tessuto è morbido.
Stadio2: edema che peggiora durante il giorno e che non regredisce completamente durante la notte. Compare il segno della fovea che, con l’andar del tempo, però si riduce diventando il tessuto sempre più duro.
Stadio3: edema che non regredisce più durante la notte, il segno della fovea non è più presente, il tessuto è ormai indurito. Compaiono lentamente ma gradualmente le lesioni cutanee linfostatiche. In questo stadio diventano molto frequenti gli episodi infettivi.
A questi 3 stadi clinici deve essere aggiunto uno stadio pre-clinico, lo stadio 0, che rappresenta la condizione in cui si trovano tutte le persone a rischio di sviluppare il linfedema, come coloro che hanno subito l’asportazione dei linfonodi ma nei quali non sono ancora comparsi i segni clinici anche iniziali. In questa fase risulta fondamentale ovviamente la prevenzione.
QUAL E’ IL TRATTAMENTO?
Trattamento farmacologico
Non esiste, di fatto, un farmaco risolutivo per il trattamento dell’edema linfatico. Spesso erroneamente vengono prescritti diuretici, i quali però non danno benefici, anzi vanno ad eliminare la parte liquida dell’edema ma non quella cellulare, causando fibrosi. Assolutamente controindicato quindi l’uso di diuretici.
Sono utili alcuni integratori specifici che però da soli non risolvono il problema in modo efficace e completo.
Tra i principi farmacologici, naturali o di sintesi, è auspicabili l’impiego di benzopironi (alfa e gamma) per gli effetti di riduzione della permeabilità capillare, attivazione macrofagica e prolinfocinetica. Utili anche i principi attivi ad attività proteolitica. Un prodotto che, soprattutto nei casi iniziali, può aiutare a controllare l’edema, è la cumarina, reperibile in commercio come estratto vegetale della pianta Melilotus Officinalis. Dosaggi troppo elevati di questo prodotto possono essere tossici per il fegato, la prescrizione quindi deve essere sempre da parte dello Specialista.
In caso di infezione è necessario l’uso di antibiotici.
Trattamenti tecnico/terapeutici consueti (elevazione, presso terapia, tutori)
E’ bene ricordare che se non combinati con la terapia manuale e con il bendaggio elasto-compressivo sono inefficaci e i benefici sono brevi.
Trattamenti chirurgici
Non hanno validità in merito.
(MICROCHIRURGIA LINFATICA Molto enfatizzata dai mass media ed allettante per i pazienti è la proposta di risolvere il danno congenito o post-chirurgico del sistema linfatico con un intervento di deviazione della linfa dai collettori linfatici danneggiati verso il sistema venoso. Sono stati proposti diversi tipi di interventi (trasposizione linfonodale, bypass linfo-venoso prossimale o distale (cosiddetta supermicrochirurgia linfatica). Purtroppo il massimo risultato viene ottenuto da questi interventi nei casi più iniziali, nei quali ottiene però ottimi risultati anche un trattamento di tipo fisico. Nei casi più avanzati, con fibrosi già sviluppata, gli interventi non ottengono significativi risultati. Inoltre, a differenza di quello che spesso si è indotti a pensare, dopo questi interventi il paziente deve comunque continuare a seguire le norme di auto-cura e, in particolare, l’uso attento del tutore elastico. Non ci si deve quindi sottoporre all’intervento sperando di poter in tal modo togliere completamente il tutore elastico. )
Premesso che la letteratura internazionale, le linee guida mondiali e le linee guida nazionali, riconoscono ‘non valide’ dal punto di vista terapeutico le monoterapie (solo drenaggio linfatico manuale, solo presso terapia sequenziale, solo ginnastica isotonica, solo bendaggio) è da evitare la prescrizione di protocolli terapeutici in monoterapia (ancora proposti da molti centri pubblici o privati convenzionati). Il trattamento fisico decongestivo del linfedema deve potersi avvalere di tecniche di drenaggio manuali e strumentali consequenzialmente eseguite sul paziente in funzione del caso clinico (drenaggio linfatico manuale, pressoterapia sequenziale, chinesi-terapia, bendaggio multistrato, ginnastica isotonica, tonificazione muscolare, mobilizzazione e sbrigliamento articolare, ultrasuoni su fibrosi etc,).
Il trattamento che attualmente più è efficace è un trattamento combinato di terapia manuale (massaggio specifico seconde tecniche apposite) e di bendaggio elasto-compressivo.
Queste tecniche sono di competenza di fisioterapisti che abbiano conseguito delle adeguate specializzazioni post laurea.
COME FUNZIONA IL TRATTAMENTO DAL FISIOTERAPISTA, NELLO SPECIFICO?
BENDAGGIO LINFOLOGICO ED ESERCIZI ISOTONICI
È da considerare come il gold-standard nel trattamento del linfedema. Consiste nell’applicazione sull’arto affetto da linfedema di bende con differenti caratteristiche elastocompressive, sovrapposte l’una sull’altra in più strati (bendaggio multistrato). Viene confezionato su misura dall’operatore, va mantenuto in sede per l’intera giornata compresa la notte e deve essere rinnovato quotidianamente.
L’effetto decongestionante del bendaggio si ottiene grazie ad un aumento del riassorbimento dei fluidi tissutali e ad un incremento del flusso venoso e linfatico, che avvengono soprattutto durante esecuzione di specifici esercizi decongestivi.
Questo tipo di bendaggio viene utilizzato come trattamento intensivo del linfedema e la sua applicazione è appannaggio di personale sanitario esperto e di comprovata esperienza nel campo del linfedema.
L’indicazione a questa tipologia di bendaggio è di pertinenza dello specialista. Un errata applicazione può costare gravi conseguenze.
LINFODRENAGGIO MANUALE MEDICO
È la tecnica storicamente più nota nel trattamento del linfedema (proposta da Vodder, da cui prende il nome la tecnica più diffusa, negli anni ’30). L’evoluzione della tecnica ha portato a sviluppare tecniche che utilizzano solo manovre di comprovato effetto sul circolo linfatico e venoso; nonostante le innovazioni e le variazioni della tecnica e seppure molto apprezzato dai pazienti per la sensazione di benessere soggettivo che comporta, il linfodrenaggio manuale si è dimostrato essere una modalità di trattamento di efficacia molto modesta nel ridurre il volume del linfedema. Pertanto viene utilizzato come trattamento complementare al bendaggio sopra descritto e come terapia nelle aree in cui quest’ultimo non sia applicabile (linfedema del torace, addome, regione genitale, collo, viso) o nelle situazioni cliniche in cui altre tecniche non risultassero tollerate dal paziente o siano controindicate.
PRESSOTERAPIA PNEUMATICA
È una delle tecniche di trattamento del linfedema degli arti. L’efficacia di tale tecnica è sovrapponibile a quella del linfodrenaggio manuale e nella fase intensiva di trattamento deve essere sempre abbinata al bendaggio sopre descritto. E’ necessario l’utilizzo di un’apparecchiatura specifica che ha lo scopo di ottenere una riduzione del volume dell’arto tramite un incremento di drenaggio linfatico e venoso. Il principio fisico su cui si basa è l’applicazione di una pressione esercitata da camere gonfiabili affiancate e parzialmente sovrapposte. La pressione di applicazione deve essere adeguata alle condizioni tissutali.
L’indicazione all’uso della pressoterapia è di pertinenza dello specialista.
TUTORE ELASTOCOMPRESSIVO
Una volta terminata la fase acuta del trattamento combinato (bendaggio+massaggio), raggiunto uno stato di miglioramento buono, si fa confezionare da personale esperto (tecnico ortopedico esperto) un tutore elastocompressivo che, se utilizzato quotidianamente, permette al paziente di mantenere i risultati ottenuti e di non peggiorare nuovamente (se non si attua questo passaggio, il linfedema, essendo una patologia di carattere evolutivo, tende a ri-peggiorare). Per il mantenimento ed il consolidamento dei risultati è noto infatti (dalla letteratura internazionale e dalle linee guida nazionali ed internazionali) che è indispensabile l’utilizzo dell’indumento elastico definitivo (standard o su misura a seconda dei casi clinici ed a discrezione dello specialista che prende in carico il paziente). L’indumento elastico deve essere considerato in questi casi alla stessa stregua di una calzatura ortopedica in un paziente neurologico od ortopedico, di un apparecchio audiologico in un paziente ipoudente etc.
Gli indumenti elastici debbono rispettare le seguenti caratteristiche:
– telai circolari o lineari;
– materiali di qualità;
– uniformità e decrescenza di compressione dal basso in alto;
– trama piatta;
– nessuna interruzione nella maglia;
– dichiarazione della classe di compressione espressa in mmHg alla caviglia o al polso (è sbagliato esprimerla in denari che rappresenta l’unità di misura del peso del filo sintetico ed è ancora più grave rapportare il valore dei millimetri di mercurio ai DEN);
– biestensibilità dell’elastomero e adattabilità alla forma dell’arto;
– tallone lavorato a maglia;
– areazione del tessuto;
– garanzia di durata dell’elastocompressione per non meno di sei mesi.
Sono previste quattro classi di compressione :
- 1° classe 18-21 mmHg leggera
- 2° classe 23-32 mmHg moderata
- 3° classe 34-46 mmHg forte
- 4° classe _ di 49 mmHg molto forte
FOLLOW-UP
Dopo una prima visita da personale specialistico in cui si ottiene un’accurata valutazione del caso, si delinea quello che sarà tutto il programma terapeutico. Nei casi acuti o più gravi il trattamento inizialmente deve essere quotidiano, per poi col tempo diventare solo una sorta di mantenimento dei miglioramenti acquisiti.
Poiché il linfedema è una patologia a carattere evolutivo, è necessario che ogni paziente venga periodicamente rivalutato dallo Specialista, seguendo una tempistica dei controlli personalizzata in base allo stadio clinico della patologia e alla capacità di mantenimento dei risultati ottenuti dalla strategia terapeutica messa in campo.
CI SONO ALTRE TERAPIE CHE SI POSSONO FARE IN CONCOMITANZA?
Alcune terapie sono state negli anni proposte come complementari alle tecniche di base sopra descritte. Molte delle tecniche proposte sono in realtà ancora prive di qualunque dimostrazione scientifica, soprattutto nei confronti di pazienti con linfedema.
In ogni caso questi trattamenti richiedono numerose sedute di applicazione per ottenere risultati modesti rispetto a quelli ottenuti dalle tecniche decongestive sopra descritte.
Pertanto nessuna di queste tecniche può essere considerata alternativa ma, al massimo, complementare alle tecniche di base.
L’avvalersi o meno di queste tecniche sarà premura del fisioterapista.
Un supporto psicologico/psicoterapeutico e uno nutrizionale sono terapie da tenere in considerazione per aiutare il paziente ad affrontare al meglio l’intero iter terapeutico.
In conclusione
COSA DEVO FARE SE MI HANNO APPENA DISGNOSTICATO UN LINFEDEMA?
Mi dirigo dal più vicino fisioterapista esperto in Linfodrenaggio, prenoto una visita e inizio il trattamento.
COSA DEVO FARE SE HO IL DUBBIO DI AVERE UN LINFEDEMA MA NON HO ANCORA UNA DIAGNOSI?
Mi dirigo dal medico di base, o dove non è possibile, dal più vicino fisioterapista esperto in Linfodrenaggio, per farmi consigliare quali esami fare e da quale specialista farmi consigliare.
BIBLIOGRAFIA
Linee guida italiane sul linfedema: Documento finale della Commissione Ministero della Salute sulle linee guida sul linfedema (Novembre 2006) (S. MICHELINI, C. CAMPISI, M. RICCI, V. GASBARRO, M. CESTARI, R. MATTASSI, A. MOLISSO, L. ZANETTI, C. ALLEGRA, A. CAVEZZI, A. AIELLO, M. CONTE, M. PALUMBO, R. GHILARDINI, V. ROCCO, D. FAILLA);
sito: www.lottalinfedema.org